lunedì 30 settembre 2013

Le dimissioni dal Paese

Le dimissioni in massa di ministri e parlamentari di PdL, M5S e Lega sono l’ultima cosa di cui l’Italia aveva bisogno. Da mesi, commentatori indipendenti italiani ed esteri concordano quasi unanimemente che l’Italia ha bisogno prima di tutto di stabilità, poi di una nuova legge elettorale, necessaria a dotarsi di una maggioranza forte per realizzare le riforme indispensabili al Paese.

La stabilità non è un fine in sé, anzi. Sappiamo tutti che questa legislatura, per i disaccordi che esistono nella sua eterogenea maggioranza, non potrà fare tutte le riforme necessarie al Paese. Ma sappiamo anche tutti che purtroppo, con i risultati elettorali dello scorso febbraio e l’indisponibilità di Grillo a qualsiasi forma di compromesso, non c’è stata alternativa. Continuare nell’instabilità post-elettorale avrebbe nuociuto al Paese, andare a nuove elezioni pure. Questo era vero sei mesi fa e lo è ancora.

Il governo di un Paese in recessione normalmente reagisce con manovre che compensano il più possibile gli effetti negativi della crisi, per esempio aumentando i sussidi, riducendo le tasse, comperando beni e servizi. Ma per farlo occorre un margine di manovra, perché queste politiche costano soldi. Se il governo i soldi non li ha, li può prendere in prestito indebitandosi. Ora, questo margine di manovra, l’Italia non ce l’ha più. Non ce l’ha più perché si è già indebitata fino al limite considerato ragionevole dagli investitori – che sono anche piccoli risparmiatori, come noi. Questo limite non è fisso, si sposta in su o in giù a seconda della fiducia degli investitori, che dipende anche dalla stabilità del governo. Non è teoria. È la realtà di milioni di famiglie che non si fidano a prestare i loro miseri risparmi a uno Stato pericolante che rischia di fallire e lasciano il campo libero agli speculatori.  Compromettere la stabilità del governo significa sabotare l’unica leva della quale il Paese dispone per opporsi rapidamente ed energicamente alla crisi nelle condizioni attuali.

Certo, staccare la spina ad un governo non genera necessariamente instabilità nociva. Nessun risparmiatore si preoccuperebbe se fosse sicuro che un nuovo voto produrrebbe una maggioranza più efficace di questa nel risollevare l’economia del Paese, occupazione compresa. Ma il fatto è che per l’Italia è vero il contrario: siamo praticamente sicuri che un nuovo voto non darebbe risultati migliori. Perché la distribuzione dei consensi non è mutata radicalmente – e come potrebbe, visto che sono passati solo pochi mesi dall’ultimo passaggio alle urne? – e perché la legge elettorale è sempre la stessa.

Quindi qualunque ragione spinga PdL, M5S e Lega a ritirare i propri parlamentari non può coincidere con la ragione di Stato. E francamente non si capisce nemmeno secondo quale calcolo politico possa avere senso. Non si capisce come l’esito di eventuali elezioni potrebbe essere più favorevole di quelle passate per questi schieramenti e il loro onorevoli rappresentanti.  Soprattutto se gli elettori si rendono conto del danno che stanno subendo a causa delle irresponsabili decisioni dei loro leader, come sembra che stia effettivamente succedendo. Mi auguro quindi che i parlamentari di questi schieramenti ritrovino il buon senso e invertano la rotta prima di annegare dietro ai loro pifferai magici.

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